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per crescere insieme nella vocazione comune: essere cristiani,
che si realizza nella misura in cui viviamo il Vangelo.
“Vedere” l’Invisibile con gli occhi
Stiamo vivendo a livello planetario un tempo di tenebra e oscurità per l’imperversare di una pandemia che non lascia presentire ancora un termine. Ma mentre proviamo incertezza, impotenza, ansia e paura, suonano come un annuncio di speranza le parole di Isaia che si leggono nella Notte di Natale:
«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 1,9).
Il Natale ridesta in noi questa speranza, la speranza di “vedere” la luce di Dio con i nostri occhi!
La speranza nasce da una luce che brilla nella notte, piccola come un puntino luminoso nel cielo del cuore, umile come una stella tra le stelle… ma diversa, speciale. È la Stella che ha catturato lo sguardo dei Magi e li ha messi in cammino. Attratti dalla sua bellezza, hanno iniziato a fissarla, a dialogare con i desideri che riaccendeva nel loro cuore e si sono lasciati guidare. Quella Stella era troppo bella per distogliere lo sguardo! Oggi purtroppo spesso si sente dire: “È troppo bello per essere vero!”…
No, non siamo un popolo di disillusi coi piedi ben piantati a terra; siamo semplicemente un’umanità che sta perdendo la speranza, la capacità di sognare e di credere nella verità dei propri sogni, la capacità di continuare a camminare in avanti anche se è buio.
«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce…». Se non guardiamo la Stella, se non fissiamo la luce che viene dal Signore, dove andiamo? Non camminiamo, non possiamo avanzare nel buio, non ce la facciamo a viaggiare nella notte. Ora è “notte”… non per dormire, ma per destarci dal sonno e metterci in cammino. La strada è ancora lunga.
La capacità di risposta che Dio si aspetta da noi non è solo il frutto del nostro sforzo, ma viene dalla fede, dalla capacità di guardare oltre ciò che i nostri occhi di carne vedono qui e ora. È un “istinto” di vita, un’intuizione primordiale di bellezza che tutti portiamo dentro, ma che spesso mortifichiamo o lasciamo cadere nel vuoto. Il popolo che Dio voleva risollevare, il popolo a cui Dio si rivolgeva per bocca del profeta Isaia si è sentito fare questo triste rimprovero: “Chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo”!
Non dimentichiamo che il Natale è una “notte”, notte forse più fitta e profonda delle altre, in cui accade qualcosa di inatteso: «nasce una luce nuova nella notte del mondo», recita l’Inno delle Lodi di Natale. La Liturgia ci fa vedere con “altri” occhi la luce che non passa, la luce che non conosce tramonto, la luce vera che illumina ogni uomo (Gv 1,9). Ma è davvero possibile vedere questa luce? O è solo una bella immagine, un modo di dire per fare poesia?
Nella seconda lettura della Messa di Natale san Paolo annuncia: «È apparsa la grazia di Dio apportatrice di salvezza» (Tt 2,11). «È apparsa» (apparuit): come a dire che quella grazia che prima c’era ma non si vedeva, ora si è fatta visibile ai nostri occhi, è divenuta realtà percepibile anche ai nostri sensi. La grazia di Dio è apparsa realmente nella sua umanità: «La vita si è manifestata, noi l’abbiamo vista» (1Gv 1,2), «il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).
Sì, l’invisibile Dio si è reso visibile. E perché? Dio si fa vedere perché, attraverso la vista dei sensi esteriori, possa raggiungere e afferrare i nostri sensi interiori: l’occhio della mente, lo sguardo del cuore. Il Verbo eterno, la Parola del Padre si è fatta visibile a noi. La vediamo, la tocchiamo e anche la stringiamo nel piccolo Bambino di Betlemme «avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Non basta però guardare Gesù nel presepe: il nostro sguardo deve spingersi oltre, alla Realtà che questo Bambino è venuto a portarci. Isacco di Ninive scrive che “quel che è un segno corporeo per gli occhi della carne è anche idoneo ad essere percepito dallo sguardo segreto [dell’anima]”.
La stessa cosa esprimono le parole della Liturgia nel Prefazio I di Natale, che dice così: “Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore perché, conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili”. Ecco, questo sguardo degli occhi, questa visione del Verbo nella sua umanità vuole destare i nostri sensi interiori all’amore delle realtà invisibili, vuole donarci cioè l’esperienza e il gusto di Dio, che non conosciamo ancora o che forse abbiamo dimenticato. Quanto ne abbiamo bisogno! Non possiamo vivere senza vedere Dio!
Con i nostri occhi di carne vediamo un bambino posto in una mangiatoia. Eppure in quella Notte di Natale a Greccio, nel 1223, quando per la prima volta veniva preparato il presepe, il Bambino non c’era: tra l’asino e il bue san Francesco fece porre una greppia vuota con del fieno, che faceva da altare. Qui, su questo altare-mangiatoia sarebbe disceso dal cielo l’Emmanuele, assumendo la nostra carne nel mirabile sacramento dell’Eucaristia. Intuizione meravigliosa! Non erano gli occhi del corpo a vedere il Bambino, ma “altri” occhi vedevano il Figlio di Dio fatto carne, vivo e presente in mezzo a noi.
In quella notte poi, mentre veniva celebrata la Messa di Natale, un uomo tra i presenti su quella mangiatoia “vide giacere un fanciullino privo di vita, e Francesco avvicinarglisi e destarlo da quella specie di sonno profondo”. Era il Figlio di Dio, che in quella notte di luce “fu risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e fu impresso profondamente nella loro memoria amorosa” (Vita del beato Francesco 85-86, in Fonti Francescane 469-470).
Celebrare il Natale per noi quest’anno ha il sapore di un “risveglio”. Si tratta di risvegliare Dio nel nostro cuore per contemplare l’Invisibile con gli occhi della fede. “Solo con il cuore, infatti, può essere visto il Verbo” (sant’Agostino, Trattati sulla prima lettera di Giovanni I,1).
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