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per crescere insieme nella vocazione comune: essere cristiani,
che si realizza nella misura in cui viviamo il Vangelo.

“Sono qui … per far rivivere nelle anime la vera vita”
La missione della vita claustrale
nell’esperienza di sr. M. Chiara Damato 

 Che senso ha parlare di “missione” in una vocazione che, visibilmente, si esprime entro il perimetro chiuso di un monastero, all’interno di quello spazio limitato che si chiama clausura? Queste “sante mura”, per usare un’espressione della clarissa sr. M. Chiara Damato, sono solo l’altare umile e nascosto dove offrire a Dio la vita, lasciando che il cuore batta all’unisono con quello di Cristo.
La chiamata alla vita claustrale porta in sé un grande amore per l’umanità, un amore capace di intercettare il desiderio di Dio stesso per ogni uomo e donna venuto al mondo: “…che abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Di quale vita si parla, qual è la “vera vita” che sta tanto a cuore a sr. M. Chiara e che siamo chiamate a generare nei nostri fratelli, se non la vita eterna, la vita di Dio, la pienezza della nostra felicità?
Lontana dai riflettori del mondo, eppure profondamente unita al mondo, sr. M. Chiara ha intuito la dimensione missionaria di una vita che non è grande perché appare, ma perché trova il suo pieno senso nell’essere. Più che “fare” qualcosa, per lei si è trattato di “lasciarsi fare” da Qualcuno, da Dio, vivendo ogni giorno in piena disponibilità e adesione al suo volere, portando in cuore un unico grande desiderio: “Signore, eccomi, sono qui solo per divenire come te, per far rivivere nelle anime la vera vita che con tanto patire ci hai meritato” (da una sua lettera del 17.8.42).

Come nasce una vocazione missionaria

La Parrocchia della Sacra Famiglia di Barletta è stata per Vincenza (questo il nome che le fu dato alla nascita) il grembo che le ha trasmesso la vita di Dio. Era il 25 novembre 1909 il giorno in cui riceveva il sacramento del Battesimo. Particolarmente significativa, negli ultimi anni vissuti in parrocchia, fu la guida spirituale del sacerdote don Sabino Cassatella, che coltivò in lei l’amore all’Eucaristia, al Cuore di Gesù e la devozione mariana, tratti che approfondirà in monastero nel rapporto sponsale con Cristo.
Inserita pienamente nella vita parrocchiale, “seppe incanalare la sua fortezza di carattere nello slancio verso Dio e in una convinta dedizione all’apostolato, che si manifestò particolarmente verso i fanciulli che le furono affidati per l’insegnamento del catechismo”. Così ricordava Vincenza la sua cara amica Angela C. Torre, che testimoniava: “Ci lanciammo alla conquista di tante famiglie che a causa dell’ignoranza e della povertà erano lontane dalla fede … Ricordo quanto entusiasmo procurava alla cara Cenzina questo apostolato. Tante famiglie, grazie alla sua carità illimitata, venivano sottratte dalla miseria, dall’immoralità e ricondotte all’ovile di Dio”. A quel tempo Vincenzina aveva appena diciassette anni!
In questo clima “ad alta temperatura” sentiva nascere dentro di sé grandi desideri e allargarsi a dismisura gli orizzonti. A un certo punto ha come intuito che non bastava più solo “aiutare qualcuno” o “fare del bene” a tanta gente… Nasceva in lei un’inquietudine profonda e il desiderio di raggiungere tutti.

Raggiungere tutti… È l’inquietudine della vita claustrale che riflette l’amore del Cuore di Cristo: la carità inconcepibile di un Dio che, per donarsi, sceglie di scomparire fino a nascondersi nel piccolo frammento di un’ostia. Nasce così, in un “di più” di carità, il fuoco della missione, «perché, se qualcuno ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri?» (Evangelii gaudium, 8). C’è una comunicazione che si dà ben oltre le parole… è la vita del chicco di grano caduto in terra che muore per portare molto frutto.
È in questo orizzonte ecclesiale, universale, che comprendiamo la gioia di sr. M. Chiara quando scriveva di essere “prigioniera volontaria per amore, e per desiderio di dare libertà alle anime”.

Un ministero di fecondità

La sua è stata una vita feconda che possiamo definire “in uscita”, rivolta verso Dio e verso gli altri, mai ripiegata su se stessa. Guardando alla sua esistenza, la troviamo sempre disponibile a sobbarcarsi i pesi di tutte le Sorelle in monastero. In tempo di guerra, si privava del cibo per darlo a loro, ai sacerdoti e a quanti bussavano al monastero. Di notte, dopo la preghiera del mattutino, portava a termine il lavoro rimasto incompiuto dalle altre per avvantaggiarle il giorno dopo. La vediamo poi in ginocchio a supplicare il fratello di non denunciare la povera infermiera che le aveva sbagliato un’iniezione, causandole un inizio di setticemia; e, ancora, generosa nel cedere un posto in ospedale riservato a lei a favore di un’altra persona malata. Diceva che la felicità più grande non sta nel seguire se stessi, ma nell’andare oltre se stessi, e in monastero era questa la sua principale occupazione, come rivelano le sue parole: “Devo lavorare per il bene dei fratelli di tutto il mondo e molto più per i missionari … Dio non voglia che perda nessuna perla della sofferenza, devo sopportare con gioia i travagli che mi manda”.

Sapeva riconoscere anche negli eventi negativi – quelli grandi e manifesti come la malattia, e quelli più nascosti del vivere fraterno – un’occasione per amare e assomigliare sempre di più al “Celeste Sposo appassionato”. È proprio questo di più ad averle allargato i confini della mente e del cuore, spingendola (anche tra quattro mura) nelle periferie esistenziali (non solo geografiche) della storia, per incrociare il volto di tanti fratelli e sorelle e farsi povera con loro. Proprio qui, nel dolore accolto e vissuto con amore in unione alle sofferenze di Cristo, ha scoperto un ministero di fecondità, e da sposa è divenuta madre.
Si può essere madri biologicamente, ma senza mai generare davvero alla vita i propri figli. E si può essere “madri” dei propri fratelli e sorelle anche senza averli messi al mondo. Qualcuno riconosce lo stadio adulto di una persona quando questa diviene generativa, quando cioè sviluppa in se stessa, nella propria vocazione, la capacità di uscire da sé e dalla preoccupazione di sé per prendersi cura della vita degli altri. È il desiderio più grande che ha animato la vita di sr. M. Chiara.

Una presenza viva tra noi

Quando per i vari ricoveri in ospedale, sr. M. Chiara, ormai malata di TBC, dovette lasciare il monastero, era suo grande desiderio tornare tra le sue Sorelle, qui ad Albano, un desiderio che solo dopo la sua morte si è realizzato. Era il 19 ottobre 1999 quando, per la chiusura del Processo di ricognizione canonica delle sue spoglie mortali, il suo corpo è stato traslato dal cimitero di Albano alla chiesa del nostro monastero. Ricordiamo con viva commozione il suo “rientro a casa” ed eravamo presenti quando, aperta la bara, il suo corpo è stato trovato incorrotto. Molti di coloro che, il 27 novembre di quell’anno, hanno partecipato alla solenne celebrazione nella nostra Cattedrale di Albano, ricorderanno quei momenti forti e intensi. Il corpo di sr. M. Chiara, visibile attraverso una lastra di vetro, è stato lasciato esposto per un ampio lasso di tempo alla venerazione dei fedeli che, commossi, le si avvicinavano e la pregavano.

Sono trascorsi vent’anni da allora e la presenza di sr. M. Chiara nella nostra Fraternità è un faro di luce per tanti che si affidano a lei chiedendo la sua intercessione. Quando era tra noi sapeva farsi vicina a tutti con il suo modo molto affabile, discreto e materno, e possiamo pensare che in Cielo abbia conservato questi stessi suoi tratti caratteristici, perché anche tante persone ci dicono di sentirla vicina, accanto alle loro necessità per infondere loro serenità e fiducia.
Oltre alle richieste, che ci giungono anche dall’estero, di immaginette e biografie della Venerabile Serva di Dio, sono molte le persone che vengono qui per pregare sulla sua tomba, sostando nella cappella dove sono custodite le sue sacre spoglie.
Noi, sue Sorelle, sentiamo viva la presenza di sr. M. Chiara. Il suo esempio di amore e di offerta gioiosa ci ricorda l’orizzonte della missione a cui siamo chiamate. Siamo qui… per far rivivere nelle anime la vera vita, perché ogni uomo e ogni donna, incontrando il Signore, sappia di essere infinitamente amato.

 

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